Intenzionalità: educazione come tensione
Nella relazione con i nostri figli a volte agiamo d’istinto, sotto la spinta dell’emozione del momento. Come quando molliamo uno schiaffo al figlio, anche se non avremmo voluto farlo; altre volte agiamo automaticamente, guidati da un inconsapevole modo di essere: è tipico di quando, una volta agito, ci sale dal profondo, e non senza rammarico, una frase tipica, “Mi sono comportato come mia madre faceva con me! No, non volevo!”. Altre volte agiamo senza pensarci, né prima, né durante, né dopo: questo accade, ad esempio, quando non ci sembra ci siano grandi questioni educative in gioco, oppure perché siamo stanchi o presi dai nostri pensieri e desideri. Altre volte ancora, di fronte alla medesima situazione, problema, comportamento, ci comportiamo in un determinato modo e magari il giorno dopo facciamo la scelta opposta. Quando poi si è in due, papà e mamma, sono frequenti le occasioni in cui può capitare di dare risposte diverse alle sollecitazioni dei figli, a volte anche contraddicendosi l’un l’altra. Insomma una buona parte dell’educazione in famiglia non è sotto il pieno e consapevole controllo dei genitori e questo è normale, perché altrimenti saremmo continuamente costretti a un livello di attenzione rispetto a quello che stiamo facendo che risulterebbe impossibile e per certi versi toglierebbe anche la bellezza di stare con i nostri figli in maniera semplice e spontanea. Gli studiosi di pedagogia hanno chiamato questo tipo di educazione “implicita” per differenziarla da quella definita “intenzionale”. Questa parola deriva dal verbo latino intendere che ha diversi significati. Il primo è “tendere verso”, che richiama da un lato una tensione e dall’altro una direzione. In aiuto ci vengono le parole della famosa poesia di Khalil Gibran, “I figli”, quando dice “Voi siete gli archi dai quali i vostri figli, come frecce viventi, sono scoccati”. Per tendere un arco bisogna esercitare una certa tensione, e quindi fatica, così da piegarlo quel tanto che serve per lanciare la freccia verso un bersaglio. Allora educare con intenzionalità significa fare lo sforzo di accompagnare i figli verso una direzione che abbiamo pensato e scelto come buona per aiutarli nella crescita. Un secondo significato del vero intendere ci aiuta ancor di più a capire la nostra parola “intenzionalità”: “volgere lo sguardo”. Se io voglio condurre qualcuno verso una direzione, senza farmi determinare da ciò che vedo e mi accade in quel momento, devo immaginarmi come le cose potranno essere dopo che avrò agito in un certo modo. Questo significa che sono così convinto e appassionato dell’obiettivo, che cerco di contrastare le forze che mi spingono ad andare verso un’altra direzione. Educare allora è tensione, sforzo, scelta, pensiero, ma anche capacità di vedere e innamorarsi di un futuro e decidere di ricercarlo perché ci sembra buono o giusto o secondo la nostra prospettiva di vita o perché asseconda le naturali predisposizioni dei figli che vogliamo favorire. Questa parola quindi ci invita ad ampliare nel nostro modo di educare la sfera delle azioni consapevoli in modo che i figli siano incuriositi da due domande: “Perché ci tieni o ci tenete così tanto a questo (tendere verso)?” e “Verso dove stai o state guardando (volgere lo sguardo)”?
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