La bontà, un valore “scandaloso” da insegnare ai bambini
Vi è una pericolosa frattura fra l’educazione dei primi anni di vita, compresa anche l’educazione alla fede, e l’educazione alla vita sociale che da un certo punto in poi iniziamo ad attuare.
Ad esempio, insegniamo ai bambini ad essere “buoni” e questo lo consideriamo un comportamento virtuoso e “attivo”. Ma un giorno nostro figlio è vittima di un piccolo sopruso o di una ingiustizia. Passi una volta, ma se capitano altri episodi non ci piace che assuma un comportamento che, da questo punto in poi, consideriamo “passivo”. Lo stimoliamo a non farsi sottomettere, a reagire di fronte alle provocazioni, a farsi vedere più forte e più duro, in modo che l’altro si scoraggi.
Piano piano prende avvio un’altra fase del processo educativo: è l’iniziazione alla vita sociale, alla vita “vera”, che non è né quella della scuola materna, né quella del catechismo. Si comincia ad entrare in un mondo in cui bisogna sgomitare, farsi largo, imporsi. Un mondo di lupi in cui ottiene qualcosa solo chi è più forte e sa farsi valere.
Allora sorge una domanda cruciale che ho sentito formulare con chiarezza da un sacerdote (don Dario Vivian) in un suo commento al racconto di quel padrone della vigna, che pagò allo stesso modo dei primi anche gli ultimi operai, pur avendo lavorato questi un’ora soltanto (MT. 20,1-16): “La bontà è un valore spendibile o uno scandalo?”. Mi pare che questa domanda sia cruciale anche da un punto di vista educativo: consideriamo la bontà una virtù che se praticata potrà cambiare il mondo, oppure è fuori dalla logica del mondo? È una virtù da insegnare o è solo per i perdenti? Pensiamo che i nostri bambini debbano imparare ad essere buoni solo con la mamma, il papà, i fratelli, i nonni, con qualche insegnante e con qualche amico, mentre con gli altri vige una regola diversa? Forse, per chi ama ancora il mondo e vuole contribuire al suo miglioramento, alla domanda posta da don Vivian si può rispondere che la bontà è un valore spendibile, proprio perché scandalosa agli occhi del mondo.
È sotto gli occhi di tutti come la “cattiveria”, anche nella sua forma più mite, non sta producendo un mondo migliore e soprattutto ci fa perdere la speranza che sia possibile un mondo diverso. Ci fa immaginare che il suo opposto, ossia la bontà, si accompagni a debolezza, sottomissione, passività. Niente di più falso: la bontà domanda persone piene e forti, coscienti di sé e della propria identità e conseguentemente prive di paura di entrare in relazione con l’altro. Le persone buone sono capaci, quindi, di ascolto e comprensione, ma anche sono consapevoli della consistenza delle loro idee e dei loro valori, la cui affermazione non va mai a scapito dell’altro, ma nemmeno di se stessi.
La bontà, proprio quando è conosciuta e praticata, permette al contempo di conoscere bene la cattiveria e di starne alla larga, spezzandone tutti i suoi legami perversi, come l’ingiustizia e la sopraffazione.
La bontà è perciò una virtù molto esigente e al contempo così potente nei suoi effetti che solo pochi riescono a viverla fino in fondo. Solo i più forti, i più scandalosi.
Molti di questi scandalosi si ritrovano proprio tra i bambini. In qualche caso, prima che gli adulti inizino ad educarli ad affrontare il mondo con “cattiveria”.
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